Seconda fase 1840-1855

Te voglio bene assaje, secondo il racconto dello stesso Sacco, nasce come “brano improvvisato” in casa di un «ricco straniero» (forse lo stesso Cottrau), durante una di quelle riunioni salottiere dette periodiche nelle quali, oltre a cantare, spesso ci si dedicava anche all’ ‘improvvisazione’, ovvero alla poesia estemporanea cantata. Il brano ebbe un successo immediato e tale che “in brevissimo tempo invase le più distinte sale d’accademia musicali in Napoli ed all’estero; e fu la canzone prediletta del popolo che non per una sola, ma per molte feste di Piedigrotta ne assordò gli uditori".

Pubblicata la prima volta nel 1835 nella raccolta di poesie “Cetra Partenopea” col titolo “Intercalare improvvisato dal signor Raffaele Sacco”, fu poi stampata come canzone (secondo una fonte dell’epoca era conosciuta col titolo “Il Rimprovero”) negli anni successivi sia su diversi fogli volanti “spurii” che in varie versioni per canto con accompagnamento di pianoforte. La casa editrice Girard e C. nel 1840 la pubblicava come “anonima”, col titolo “Io te voglio bene assaje. Nuova canzone napoletana” e con un testo di quattro strofe. Numerose altre edizioni anonime si susseguirono ma è soltanto con l’edizione di Teodoro Cottrau del 1871 che la paternità del testo viene correttamente attribuita a Raffaele Sacco, forse per accogliere quella che era una consapevolezza diffusa a livello popolare riguardo la ‘primogenitura’ dell’ottico improvvisatore per quanto riguardava il testo. Il fondo Noseda del Conservatorio di Milano conserva peraltro una versione manoscritta del brano del 1840 per canto e accompagnamento di pianoforte di Giuseppe Torrenti dove Raffaele Sacco è già indicato come autore del testo, come anche in diversi fogli volanti sebbene il testo cambi di volta in volta come era normale accadesse nell’ambito dell’improvvisazione. Numerose furono anche le risposte o parodie di Io te voglio bene assaje delle quali, in tre casi, ci sono pervenute le partiture con i testi e le musiche sulle quali si cantavano, poiché sono state raccolte nel 1º Supplemento ‘a Passatempi Musicali, curato sempre da Guglielmo Cottrau e terminato nel 1843.

Te voglie bene assaje è, dunque, il caso più emblematico dello scambio bidirezionale tra un livello ‘borghese-colto’ e un mondo popolare ‘artigiano-urbano’. Improvvisato probabilmente in un salotto borghese, si diffonde per le strade per via orale e attraverso fogli volanti per essere poi ripreso, trascritto e rielaborato da Cottrau e da altri e riportato così in quegli stessi salotti in cui era nato. E’ stata, in ogni caso, la prima canzone napoletana a riscuotere un successo incredibile –Regaldi parla di 180.000 ‘copielle’ vendute– grazie soprattutto al suo orecchiabile intercalare, o ritornello che dir si voglia, paragonabile soltanto ai ‘tormentoni’ della musica odierna.
La fortuna commerciale del brano, testimoniata anche dalle innumerevoli risposte di cui abbiamo visto qualche esempio, fu una specie di detonatore che provocò l’esplosione parallela sia della produzione dei fogli volanti che delle raccolte di canzoni per canto e pianoforte, e la comparsa sulla scena di nuovi autori, compositori, stampatori ed editori. Questi ultimi, fiutando l’affare, si lanciarono sul mercato della canzone napoletana, tracciandone forse il percorso che porterà verso fine del secolo all’esplosione del fenomeno.

La seconda fase, di questa ricostruzione degli albori della canzone napoletana, si apre dunque con il successo del brano dal celebre intercalare che segna quasi uno spartiacque con tutto quello che c’era stato in precedenza. Non è dunque un caso che Girard decida di ripubblicare separatamente la 2ª parte della terza edizione dei Passatempi risalente al 1829, con le 68 canzoncine alcune delle quali anche con un nuovo titolo. E nel 1841 Cottrau riesce anche nell’impresa, a lungo agognata, di pubblicare a Parigi le sue Mélodies de Naples et ses environs recueilles, retouchées ou composées dans le style National. Due anni dopo, nel1843, con diffusione sia a Londra che a Parigi, in corrispondenza con la pubblicazione del 2º Supplemento ai Passatempi, uscivano le 24 Nouvelles Mélodies Nationales de Naples recueillies, paraphrasées et arrangées avec acc.t de piano par Guillaume Cottrau pour faire suite au grand recueil intitulé Passatempi Musicali (2.ª Parte) du mệme auteur. Sempre a Londra fu pubblicata, dall’editore T. Boosey & C., probabilmente verso il 1843 (questa è l’indicazione data dalla British Library dove è conservata) la raccolta dal titolo 12 Nuove Melodie Nazionali Napolitane con parole italiane adattatevi da Manfredo Maggioni, raccolte e ridotte per Canto con accompagnamento di Pianoforte o Chitarra da G. Cottrau e P. Verini.

Dei Passatempi parte 2ª uscirono, nell’arco di più di un decennio, ben sei Supplementi. I primi tre, contenenti rispettivamente 16, 25 e 20 canzoncine napoletane, furono curati sempre da Guglielmo Cottrau. Il quarto supplemento e i due successivi, che raccolgono invece brani di autori vari (Biscardi, Rondinella, Labriola ecc.), furono curati a partire dal 1848 probabilmente da Teodoro Cottrau, figlio di Guglielmo, e contengono rispettivamente 25, 24 e 38 canzoncine napoletane, così come risulta anche da un frontespizio di una pubblicazione del 1856ca del Privilegiato Stabilimento Musicale Partenopeo. Quest’ultima era la denominazione assunta in quegli anni dalle vecchie edizioni Girard oramai saldamente in mano a Teodoro Cottrau. 
Nel primo supplemento e nelle prime tre edizioni dei Passatempi c’è la maggior parte dei brani “raccolti per la prima volta dalla bocca popolare” e poi “rielaborati” da Cottrau, frammisto a qualche sua composizione “originale”. Tendenza che si ribalterà nei due supplementi successivi dove ci sarà invece una netta prevalenza di brani autoriali, opera del suo ingegno, come ammetterà lui stesso nell’epistolario. Un caso evidente delle reciproche implicazioni tra colto e popolare è Forturella, pubblicata da Cottrau nel 1843 ma che circolava già come foglio volante con il titolo Stà malata Forturella pe la passione de lo nnammorato, zoè lo riepeto de n’affritto spantecato e, in un altro foglio volante, con il titolo Lu Malatiello .

Tra i tanti compositori che, dopo il  successo di Io Te voglie bene assaje, rivolsero la loro attenzione alle canzoncine napolitane spicca, per qualità ma anche per quantità, Francesco Florimo, uno dei protagonisti di questa “seconda fase” della canzone napoletana che, dopo la morte di Guglielmo Cottrau, ne raccoglie per certi versi il testimone almeno fino al 1855. Storico della scuola musicale napoletana, didatta di canto ma anche discreto compositore di romanze e composizioni vocali con accompagnamento di pianoforte, Florimo, tra il 1843 e il 1854, pubblica presso la Girard una serie considerevole di canzoni napoletane, 94 brani, riunite poi in otto raccolte alle quali se ne aggiunse una pubblicata nel decennio successivo con l'editore Lucca. Queste le nove raccolte di canzoni napoletane di Florimo

Le Montanine, Girard 1843: 10 brani 

I canti della collina, Girard 1844: 10 brani 

Le brezze marine, Girard 1845: 10 brani 

Ischia e Sorrento, Girard, 1848: 10 brani 

Le popolane, Stabilimento Musicale Partenopeo, 1850: 10 brani

Le serate di Capodimonte, Stabilimento Musicale Partenopeo, 1852: 10 brani

Le Napolitane, Stabilimento Musicale Partenopeo, 1853: 24 brani

Canti del Golfo, Stabilimento Musicale Partenopeo, 1854?: 10 brani  ma solo tre pervenuti 

Santa Lucia, Lucca, 1864: 12 brani.

Le sue raccolte, attorno al 1853, furono poi ristampate dalla Ricordi che, nel 1858, pubblicò anche "Una scelta delle migliori ed originali canzoni popolari napoletane" seguita poco dopo da una seconda raccolta: la prima raccolta interamente con brani di Florimo, la seconda anche con brani di altri autori.
Il sottotitolo dato alle sue raccolte, Scelta di canzoni e ballate napolitane composte e raccolte da Francesco Florimo, allude nuovamente al rapporto con un patrimonio comune al quale con ogni probabilità anche Florimo attingeva, guardando alle canzonette urbane diffuse su fogli volanti o anche a brani popolari già “raccolti” e “accompagnati” da altri (soprattutto da Cottrau) per “rielaborarne” poi una propria versione. La produzione “originale” di canzoni napoletane di Florimo, impreziosite da una ricca e consapevole scrittura pianistica, è costellata da brani di pregevole fattura, alcuni ancora oggi nel repertorio dei vari interpreti della canzone napoletana, ma molte altre dimenticate e che meriterebbero invece di essere riproposte.

In una postilla a un foglio volante si coglie un’espressione, “Lo furno (o lo funnaco) de le Canzone a llengua nosta”, che rende appieno non solo il consumo quotidiano di questi brani, che andavano via per l’appunto come il pane al costo di nu ranillo, cioè di un “grano”, ma il carattere ibrido di un repertorio nato dall’impasto e dalla mescolanza di diversi ingredienti musicali (musica vocale o da camera, musica di tradizione orale, in particolare urbana, e musica d’uso per il ballo). Fin dalla sua prima fase, la “nascente” canzone napoletana aveva avuto però un proficuo rapporto di scambio anche con il mondo dell’opera, secondo processi di acculturazione e sincretismo tra musica “popolare” di area urbana e musica “colta” che sono costanti nella storia culturale di Napoli, dalle villanelle cinquecentesche fino all’opera buffa del primo ‘800. E non a caso, già negli anni Venti/Trenta dell’Ottocento nel repertorio della canzone napoletana si erano cimentati operisti come Gaetano Donizetti o anche una delle più famose cantanti dell’epoca, Maria Malibran. A partire dal decennio successivo, con il boom della canzone napoletana provocato in gran parte dallo straordinario successo di vendita di Io te voglio bene assaje, gli operisti che metteranno la propria “penna” al servizio della canzone napoletana saranno molti. 
Tra di loro i due fratelli napoletani Ricci, Luigi e Federico, autori di opere di grande successo sui palcoscenici d’Europa, che non disdegnarono di scrivere brani vocali per camera con accompagnamento di pianoforte, raccolti in diversi album, e di cimentarsi anche con il repertorio delle canzoni napoletane. Federico, in particolare, pubblicò un’intera raccolta di brani napoletani, Grida de’ venditori, costruita a partire dalle voci dei venditori, da lui “raccolte” e poi “accompagnate” col pianoforte, mentre di Luigi dobbiamo ricordare soprattutto la sua opera più famosa, Piedigrotta, scritta su libretto di Marco D’Arienzo e rappresentata per la prima volta nel 1852 al Teatro Nuovo di Napoli, dalla quale è tratta la famosa Tarantella con l’incipit testuale Viene ccà, nun fa chiù Zeza che, nella sua versione strumentale, è diventata la tarantella napoletana per eccellenza, ancor più dell’altrettanto celebre La Danza di Rossini. La Tarantella di Ricci è stata poi “adottata” dal popolo che la usa in particolari situazioni rituali, ad esempio nelle rappresentazione carnevalesche (vedi mascarata di Serino o come ballo a conclusione delle rappresentazioni della Zeza o del Don Annibale di Eboli): un tipico esempio di adozione “dal basso”, o “discesa” nel repertorio tradizionale, di un brano di chiara derivazione e matrice culta.

Tra gli operisti che diedero un consistente contributo al repertorio della canzone napoletana è da menzionare Nicola De Giosa, compositore di origine pugliese ma che, come i fratelli Ricci, aveva studiato al Conservatorio di San Pietro a Majella tra gli altri con Zingarelli (armonia) e Donizetti (composizione). De Giosa pubblica 20 canzoni napoletane, le prime dodici da Girard in una raccolta dal titolo A stella mia. Album Napoletano 1849 di Niccola De Giosa dove i brani sono presentati col sottotitolo “canzoncina napoletana posta in musica dal M. Nicola De Giosa”, i testi appaiono anonimi e molti sono tratti da fogli volanti come La Risposta de Lo Cardillo o Lo nnammorato che cerca lo priegio alla nnammorata. L’Aquila e la nnammorata  presenta invece lo stesso testo pubblicato precedentemente da Cottrau col titolo L’Aquila coll’ali d’argiento e ancora oggi riscontrabile, in diverse varianti, nella musica di tradizione orale sia campana che siciliana. Tra gli altri 8 brani di De Giosa, tutti di pregevole fattura sia melodica che armonica, segnaliamo Lo Chianto de lo MarenaroLa Medori, dedicata alla celebre soprano dell’epoca Giuseppina Medori, la simpatica “scena napoletana” de La Tarallara, su testo di Francesco Gaston, e L’Aria de Lo Mare, presentata come “Stesa composta dal M. Niccola De Giosa” e dedicata significativamente “All’egregio dilettante Teodoro Cottrau” che, dopo la morte del padre Guglielmo, muoveva i primi passi sia come compositore sia come editore. 
Oltre a Pietro Labriola e Luigi Biscardi, seguiti da Pasquale Rondinella, Emanuele De Roxas, Carlo Emery Coen, Vincenzo Battista e Alfonso Guercia, l’operista più famoso che si cimenta con il repertorio della canzone napoletana è sicuramente Saverio Mercadante, anch’egli, come il De Giosa, di origini pugliesi e napoletano solo di adozione, al pari di gran parte dei protagonisti di questa fase della canzone napoletana: Cottrau francese, Donizetti bergamasco, Malibran spagnola (ma nata in Francia), Florimo calabrese, De Giosa e Mercadante per l'appunto pugliesi. La produzione delle 11 canzoni napoletane di Mercadante finora individuate si può dividere in due tronconi: sette pubblicate per Clausetti e ristampate anche da Ricordi (tra le quali La palomma, La rosa, Lo zucchero d’ammore e Lo marenaro, pubblicate per la prima volta in piccolo album intitolato A Retella mia. 4 Canzoni napoletane poesia del sig. Marco D’Arienzo, musica del Cav. S. Mercadante presso P.Clausetti, rimpetto al R. Teatro San Carlo), mentre per altri editori vedrano la luce le restanti quattro, tra le quali L’uocchie de Nenna mia: l’ultimo, edito per Clausetti, fu La Risposta a Retella, con ogni verosimiglianza del 1855.


Accanto agli operisti ad affacciarsi su questo mondo furono soprattutto altri editori come Tramater e Fabbricatore che, attivi già negli anni Venti-Trenta, negli anni successivi si rivolsero soprattutto al repertorio delle canzoni napoletane. Di Fabbricatore segnaliamo in particolare una raccolta generale, dal titolo La Napolitana, registrata nel 1865 ma completata e pubblicata nel 1861, che raccoglieva i brani napoletani pubblicati dall’editore nel corso degli anni ’50. Tra i nuovi editori, ricordiamo soprattutto i F.lli Clausetti, venuti da Milano e operanti a Napoli dal 1847 al 1864, che stamparono ben 11 raccolte di canzoni napoletane con oltre un centinaio di brani. Ciascuna raccolta conteneva dieci canzoni a parte l’ultima con 8 brani. Da notare che nel catalogo del 1852, alla fine dell’elenco delle sette raccolte, si precisava che “tutte le canzoni senza indicazione di Autore sono tratte dalla voce del popolo”. Il catalogo delle edizioni Clausetti, dopo il 1864, fu acquisito dalla Ricordi che era nel frattempo entrata prepotentemente sul mercato della canzone napoletana e che riprese a pubblicare anche le “vecchie” canzoni pubblicate da Clausetti: la Raccolta di canti popolari Napolitani, edita da Ricordi nel 1865, conteneva proprio buona parte delle canzoni napoletane pubblicate dai F.lli Clausetti nei decenni precedenti.
La stamperia più attiva invece nell’ambito dei fogli volanti era quella di Francesco Azzolino, sita in via Geronomini, i cui prodotti erano indirizzati per lo più ai lazzaroni e alle botteghe artigiane. Dopo il 1839 iniziarono però a venir fuori stamperie un po’ più “raffinate” che miravano ad una clientela piccolo e medio borghese. Tra queste, la più importante fu sicuramente la Stamperia De Marco che spesso fregiava i suoi fogli con la graziosa incisione di un pulcinella come marchio di fabbrica e riportava sovente lo spartito della melodia su cui si cantava il brano: molti di essi sono, però, posteriori ai Passatempi di Cottrau e non è escluso che ne abbiano subito l’influenza e che le stesse melodie siano state riprese proprio da quella raccolta, che possiamo ritenere “fondativa” del genere.
Segnaliamo, infine, la raccolta Pascariello. Album nuovissimo musicale di canzoni popolari napoletane e siciliane. Raccolta delle più scelte poesie ne’ dialetti nazionali delle due Sicilie motivate da Maestri di Cappella rinomatissimi pubblicata dai Fratelli Migliorato probabilmente verso la fine degli ‘anni ‘40 e contenente 36 brani su fogli volanti “stilizzati” con delle interessanti vignette in litografie sul tema di ciascuna canzone, con l’indicazione del testo e della sola melodia. Diversi brani sono pubblicati anonimi come “canzoni popolari”, le poche canzoni che recano la firma nel testo sono tutte firmate da Antonio Migliorato (forse l’editore stesso), le melodie sono invece opera di musicisti come Biscardi, Labriola, Battista e altri. L’album è dedicato ad uno dei più famosi cantanti di strada dell’epoca, che si chiamava per l'appunto Pascariello, ritratto anche sulla litografia in copertina, e che, insieme a Don Antonio ‘o cecato (celebrato da Di Giacomo), fu il più famoso "posteggiatore” del primo ‘800, vale a dire uno dei precursori della posteggia che avrà poi il suo culmine tra fine ‘800 e inizio ‘900, parallelamente al periodo d’oro della canzone napoletana.